Mi chiamo Angelo Leone e studio Management all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Quest’anno ho deciso di svolgere un tirocinio a Kampala, in Uganda e vorrei raccontarvi la mia esperienza.

Tre mesi. 92 giorni. È un periodo un po’ strano: né troppo lungo né troppo corto. Giusto il tempo per uscire dalla propria zona di comfort e di abituarsi a un’altra che si deve tornare subito alla situazione iniziale (le zone di comfort hanno la capacità di scomparire e cambiare completamente quando le si abbandona). Quando parliamo di zone di comfort, non si parla di stanze in cui ci si sente a proprio agio. Le zone di comfort non sono posti fisici come il bar, la palestra abituale, il pub dove si è soliti andare a prendere la stessa birra. Le zone di comfort sono qualcosa di semplice e indefinito. È il proprio status quo, il proprio modo di vivere il qui e l’adesso.

Il proprio qui e adesso

Iniziamo con il qui. Il mio qui è abituato ai cambiamenti: Lecce, Firenze, Roma, Milano, Palestina, Uganda… tutto in meno di dieci anni. Dovete fidarvi di me quando vi dico che il qui vi aiuta a uscire dalla vostra zona di comfort. Vi trasferite in nuovi posti, incontrate nuovi compagni di viaggio e, in questo modo, cambiate le vostre abitudini, credetemi, l’adattamento è un processo molto lungo.

Ma ora andiamo avanti con l’adesso. Trasferirsi in un’altra città italiana non è poi così diverso, viviamo quasi tutti nella stessa situazione. Il tempo è lo stesso, magari ciò che cambia è la velocità in cui lo vivi.

Tutto questo cosa ha a che fare con l’Africa? Arrivare in Africa cambia sia il vostro qui sia il vostro adesso. Se la vita fosse un videogioco, al mio arrivo in Uganda sarebbe apparsa sullo schermo la parola: COMBO. E se non vi affrettaste e non vi sforzaste di capire cosa esattamente stia accadendo attorno a voi, molto probabilmente apparirebbe la scritta MORTO KO.

Come cambia il vostro qui.

Siete in un Paese diverso, non conoscete nessuno e sapete che i vostri nuovi colleghi vi stanno aspettando, ma non li avete mai visti e non ci avete mai parlato. In pratica, ciò che rimane del vostro qui siete soltanto voi e la vostra valigia.

Non vivete più in un appartamento, ma in una pensione dove i vostri coinquilini cambiano ogni settimana. E al supermercato non troverete più quello che siete soliti comprare. Se volete uscire a bere, non ci sono più le diverse liste, se avete bisogno di spostarvi in città, non troverete più la linea verde e rossa della metro o i bus di linea 90 e 91, ma potrete scegliere tra Matatu o Boda Boda.

Mentre eravate abituati a passare il tempo con i compagni di università e di calcetto ora, nel nuovo Paese, dovete essere in grado di relazionarvi con dirigenti e imprenditori. E anche se la vostra correttezza e affidabilità lavorativa rimangono sempre le stesse, sarete costretti a cambiare la vostra attitudine nell’affrontare i problemi: perché i veri problemi non sono scritti sul vostro quaderno in attesa di una soluzione, ma possono causare un impatto positivo o negativo sul vostro progetto aziendale, nel quale state mettendo tutti voi stessi.

Kampala

Come cambia l’adesso

Nell’epoca di internet, la prima cosa che ti fa pensare di essere in un’altra era è la velocità di connessione o la mancanza di questa. Quando vi trovate a Kampala, potete dimenticarvi di guardare i film in streaming la notte o di inviare delle mail dal vostro ufficio senza alcun problema. In Uganda, il prezzo per una buona connessione è molto alto e non tutti possono permetterselo. Inoltre, non c’è connessione ogni volta che piove e… avete mai sentito parlare della stagione delle piogge? Esatto, avete capito! Se ci sono le elezioni… beh, vi potete scordare della connessione internet per settimane.

E se la vostra azienda dovesse avere bisogno di dispositivi o di documenti importanti? Prendete una macchina fino a che non raggiungete il posto di cui avete bisogno. Naturalmente, ci sono le strade, ma attraversare la città è complicato e vi occorre molto tempo a causa del traffico e delle cattive condizioni in cui si trovano le strade.

Una nuova zona di comfort

Dopo il primo impatto, capite che è ora di accettare il nuovo stile di vita e dopo poco tempo vedrete che ciò che vi sembrava strano diventerà normale. Comincerete a crearvi una nuova zona di comfort e vedrete in maniera sempre meno europea e sempre più africana. Il vantaggio è che potrete paragonare i due mondi, trovare le differenze e ammirare i punti di forza e di debolezza di questo nuovo mondo che sta diventando piano piano anche il vostro. Vi renderete conto che la globalizzazione ha raggiunto anche questo Paese e che anche qui le cose stanno cambiando: i vecchi valori stanno scomparendo, le abitudini tradizionali stanno lasciando posto ai social network, alla musica pop americana (Justin Bieber mi ha seguito fino a Kampala!) e ai jeans e magliette di marchi mondiali.

Ma se siete dei buoni osservatori, capirete presto che c’è qualcosa di molto diverso. Se, da un lato, la globalizzazione ha bisogno di poco tempo per uniformare lo stile, la moda e il modo in cui compriamo, dall’altro, non è in grado di modificare il modo di pensare delle persone. Perché è impossibile allontanarsi da una cultura secolare in poco tempo. È come se la tradizione e l’innovazione vivessero a due velocità differenti; due forze opposte che possono esplodere o lavorare assieme come un motore. Dipende dal modo in cui vengono ordinati e dal modo in cui lavorano insieme… è una questione di equilibrio!

Sì, ma quale equilibrio?

Angelo Leone_Kampala

Penso che equilibrare l’innovazione tecnologica, la standardizzazione del cliente e il rispetto delle differenze culturali sia l’aspetto più importante.

Essere o non essere. Dove “essere” vuol dire standardizzarsi ed essere uguali al resto del mondo e “non essere” diventare un fantasma perché si è diversi e non standardizzati? Qual è l’equilibrio e come trovarlo?

Non ho la giusta risposta, ma credo che il primo passo potrebbe essere quello di uscire dalla propria zona di comfort e di smetterla di pensare che il nostro modo di vivere, di lavorare o di comprare sia quello migliore, o peggio, credere che abbiamo il diritto di imporre il nostro modus vivendi.

Mi ricordo di una storia che ho sentito durante un tipico spettacolo di danza a Kampala. Forse è una leggenda, ma, si sa, dietro ogni leggenda, c’è sempre qualcosa di vero…

Il presidente di FMI ha visitato l’Uganda e dopo l’incontro formale, il presidente dell’Uganda e il suo staff hanno deciso di portarlo a visitare Gabs Beach, proprio per mostrargli le bellezze dell’Uganda: il suo lago, i suoi villaggi… i pescatori che popolano Gabs Beach. Il presidente di FMI ha iniziato a camminare e ad ammirare la natura spettacolare attorno a lui. Erano le 9 di mattina e ha notato che molti dei pescatori dormivano sulla spiaggia. Così decise di parlare con uno di loro.

Presidente: Perché stai dormendo e non pescando?

Pescatore: Ho pescato due pesci… perché dovrei prenderne altri?

Pr: Perché se peschi più pesci, puoi venderne di più e guadagnare di più.

Pe: E poi?

Pr: Con i soldi guadagnati puoi comprarti una barca più grande.

Pe: E poi?

Pr: Con una barca più grande puoi pescare più pesci e guadagnare ancora di più.

Pe: E poi?

Pr: Poi puoi comprare un’altra barca e assumere qualcuno che lavori per te.

Pe: E poi?

Pr: Se qualcuno lavora per te, tu puoi riposare…

Pe: Mi scusi presidente, ma cosa crede che stessi facendo prima che mi disturbasse?

Angelo Leone

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